giovedì 3 dicembre 2009

IL CARISMA DELL'ORDINE OLIVETANO

‘UNUM CORPUS’ - CHARITAS IN VERITATE.

Se diamo un veloce sguardo storico alla caratteristica fondamentale dell’unione dei monasteri olivetani, fin dall’origine costatiamo che la nascita della Congregazione è concepita come un insieme di monasteri collegati con Monte Oliveto Maggiore conformemente allo stile monastico già da secoli in uso presso altre congregazioni benedettine, e nella conformità, come vedremo alle disposizioni canoniche già codificate dai precedenti concili.
L’espressione classica usata anche nella Bolla ‘Summi Magistri’ del 1336 era:
ut membra suo capiti consonent et caput respiciat sua membra”
E’ interessante e doveroso analizzare le espressioni costanti utilizzate nei primi decenni della storia delle fondazioni dei singoli monasteri con l’abbazia madre di Monte Oliveto Maggiore, e cioè quanto si sottolinei e si specifichi ulteriormente quanto anche la Bolla Summi Magistri già prescriveva, cioè la caratteristica che i monasteri sono e devono essere
“tamquam membra capiti subiecta”

Ecco allora che la verità storica non permette di sopprimere l’aggettivo finale ‘subiecta’ perché chiaramente costituisce la caratteristica fondamentale di ogni singolo monastero in riferimento alla casa madre, e ciò logicamente esprime la vera natura e l’essenza dell’Unum Corpus

Il Carisma giuridico spirituale della fondazione di San Bernardo Tolomei.

Oltre alle espressioni costantemente utilizzate per indicare la relazione dei primi dieci monasteri con Monte Oliveto Maggiore, anche dopo pochi mesi dalla morte del fondatore nel 1348, sappiamo che il Vescovo Ildebrandino Conti, avendo udita la santa vita dei monaci di Monte Oliveto, e avendo già certamente conosciuto alcuni monaci olivetani ad Avignone, volendo proporre la loro vita ad esempio del clero e del popolo della città di Padova dove era stato destinato Vescovo, scrisse al nuovo Generale Fra Franceschino Guiducci d'inviargli due religiosi per affidare ad essi un monastero.
Gli furono mandati i due senesi Fra Francesco "Michi" e Fra Girolamo "ser Sozi".
I due monaci giunsero a Padova il 12 ottobre 1348 ed il vescovo con il consenso dei canonici, cedette loro la chiesa di S. Maria degli Armeni, nel rione d'Ognissanti, dando ordine di edificare accanto ad essa un monastero da intitolarsi a S. Maria di Monte Oliveto.
Nell'incertezza che i monaci inviati a Padova a Santa Maria degli Armeni il 12 ottobre 1348 potessero essere tolti dal legame e dall'autorità dell'abate di Monte Oliveto e potessero essere sottoposti all'autorità episcopale o ad altra autorità si fece includere nell’atto dell’intesa,in termini cosi chiari e precisi quanto segue: " expresse mandavit, ut semper venerabilem patrem dominum fratrem...abbatem monasterii Sanctae Mariae de Monte Oliveti de Senis in dominum et superiorem recognoscere teneantur et debeant et eidem subesse et subiacere eiusdem mandatis parere, prout alia monasteria huius similia fecerunt, faciunt et facient in futurum, iuxta mandatum regulae ordinis eorumdem".
Così pure poco tempo dopo quando i monaci ottennero di poter avere un monastero meno dispersivo per il contorno chiassoso del monastero di santa Maria degli Armeni a quello di Santa Maria della Riviera di Polverara
(ASP.Santa Maria della Riviera VII.perg.231350 01 dicembre,Treviso)
Il cardinale legato papale Guido del Titolo di Santa Cecilia, conferma al vescovo di Padova Ildebrandino Conti e al priore di Santa Maria della Riviera, frate Girolamo, il passaggio della sede principale da Santa Maria di Monte Oliveto di Padova a Santa Maria della Riviera di Polverara si esprime così:
"...et per omnia supradictum monasterium Sanctae Mariae de Riveria prior et conventus eiusdem sint subiecta et subiecti supra dictis abbati et conventui monasterii Montis Oliveti, sicut alia monasteria et loca quae per diversas partes Italiae constituta prenominata abbati et monasterio sunt subiecta.
...et sicut habet fide digna relatio, abbas et monachi..desiderant a cetu et consorcio secularium hominum sequestrari ut possint quietius et devotius reddere Domino famulatum.."
"..et in eodem prior instituatur ed destituatur per prenominatum abbatem monasterii Montis Oliveti Aretine diocesis.."
"...in subiectione et obedientia prefati abbatis perpetuo maneat, sicut alii priores et monachi manere noscuntur qui per Italiam in diversis locis et monasteriiis constituti manere et prefato abbati subiecti fore noscuntur.."
Ecco alcune documentazioni circa il concetto di “unum corpus” che oltre ad essere un’espressione spirituale di comunione era prima di tutto un modo strutturale e giuridico di presentare la specificità della nuova famiglia monastica olivetana.
Come già San Benedetto diceva che la scala del servizio divino era formata nei due lati dal corpo e dall’anima, così l’impostazione della vita monastica di Monte Oliveto era retta dalla comunione della carità unitamente all’imprescindibile legame di sottomissione di ogni monastero con l’abbazia madre di Santa Maria di Monte Oliveto.
Come recentemente ricordava il sommo pontefice Giovanni Paolo II per la chiesa: la valorizzazione della comunione della carità deve essere sempre completata e perfezionata dalla comunione della verità, che è verità storica e verità di fede.

Il primo e fondamentale elemento perché i singoli monaci possano esprimere la loro unità nella famiglia monastica è la loro piena libertà. Certo la libertà dell’abate e del suo capitolo da qualunque autorità esterna e quindi libertà e salvaguardia dal pericolo della Commenda. La libertà da autorità esterne poteva quindi rendere possibile l’esercizio libero e autonomo di poter “stabilire in tale monastero e per ciò che concerne tale monastero le costituzioni che sembreranno loro utili e opportune per esso”. Era stata questa unità e libertà che da più di tre secoli aveva fatto grande, influente e prosperosa la storia del monachesimo dai cluniacensi in poi in tutta Europa.
Quindi se il Capitolo conventuale di ogni singolo monastero è il mezzo molto efficace per attuare l’unità di ogni singola famiglia monastica, per i monaci Olivetani assume un significato ancor più esteso e universale il Capitolo generale che è sempre stato il capitolo conventuale di tutta la famiglia Olivetana, per cui l’autorità e il prestigio del Capitolo esprimeva una autonomia da qualunque ingerenza di autorità esterna e conferiva una forza speciale per l’attuazione delle decisioni assunte.


LA BOLLA “SUMMI MAGISTRI” DI BENEDETTO XII del 1336

La rilettura della Bolla “Summi Magistri” di Benedetto XII del 20 giugno 1336 offre lo spunto di riflessione su due particolari temi monastici:
1) La teologia di comunione nell’identità di una Congregazione (N° 3).
2) L’invito ai monaci per una formazione che passi attraverso un curriculum di studi(n° 6 ).
Dei 39 capitoli che compongono la bolla come ordinazioni e articoli di riforme per il buon regime dei monaci neri dell’Ordine di san Benedetto, certamente il San Bernardo Tolomei ne ha tenuto conto nelle sue riflessioni, ma anche i confratelli nei capitoli monastici come quello del 4 settembre1336 di cui abbiamo l’elenco dei monaci che vi parteciparono e che furono:
1) Dominus Bernardo del fu Mino dei Tolomei di Siena. (+1348)
2) Fra Tommaso di San Miniato del fu Mino di Siena (+1348)
3) Fra Ambrogio di Nino (Piccolomini) (+1339)
4) Fra Bernardo Octolini (Ottolini) (di Firenze) (+1349)
5) Fra Patrizio olim Francisci (Patrizi da Siena) (+1347)
6) Fra Gabriele Jacobini (=di Giacomo Forteguerri di Siena) (+1348)
7) Fra Zefiro di Pietro (?)
8) Fra Martino d’Agostinello (di Monte Alcino) (+1338)
9) Fra Pietruccio Bartecchi ( di Camprena) (+1346)
10) Fra Stefano q. Jacobi (di Ser Coppie di Prato (+1347)
11) Fra Taddeo Stefani di Firenze (+1348)
12) Fra Domenico Saltini (Curandi)di Siena (+1348)
13) Fra Andrea Pennaccini di Siena (+1346)
14) Fra Venturino di Mastro Mino da Trequanda (+1348)
15) Fra Francesco domini Berti di Arezzo (+1382)
16) Fra Agostino Machi di Siena (+1363)
17) Fra Paolino di Paolo di Firenze (+1348)
18) Fra Simone Tendi di Firenze (+1348)
19) Fra Antonio di Stefano (Stefani) (+1348)
20) Fra Giovanni Peruzzi di Siena (+1348)
21) Fra Matteo Ser Arrigi (o Accarigi) di Firenze (+1348)
22) Fra Biagio di Giovanni di Firenze (+1340)
23) Fra Giovanni Ser Jacobi (Ser Giacomo Salviati) di Firenze (+1384)
24) Fra Ventura Pantani di Arezzo (+1348)
25) Fra Pietro di Mastro Guglielmo di Firenze (+1341)
26) Fra Matteuccio di Duccio di Brolio (+1342)
27) Fra Stefano Calducci (dopo il 4 sett.1336 scompare)
28) Fra Petruccio Bucci (o Bocci) di Firenze (+1348)
29) Fra Lorenzo di Andrea Bonaccorsi di Firenze (+1348)
30) Fra Giacomino (o Giacomuzzo= Jacobini) di Ser Vanni
(=Pogi –di Firenze) ( +1360)
31) Fra Cenni di Nicola calzolaio (+1348)
32) Fra Michele di Tano (=Tani) di Firenze (+1348)
33) Fra Bonagiunta Martini di Firenze (+1348)
34) Fra Giovanni d’Ambrogio (+1338)
35) Fra Leo di Geremia de Castro (+1348)
36) Fra Placido Ser Spiglia di Firenze (+1347)
37) Fra Bandino Thesis di Arezzo (+1346)
38) Fra Benedetto Riccomanni (o Raccomandi) di Firenze (+1354)
39) Fra Nicola Magistri Grotti di Arezzo (+1340)

Certamente le stesse intenzioni espresse da Benedetto XII che cioè la ‘religio benedictina’ fiorisse nel culto del divino ufficio
- “ut eodem religio in divini cultus obsequio floreat,
- disciplina regulari praemineat
- sapientiae ac scientiae divinae pariter et humannae sine quibus mortalium vita non regitur..fulgoribus rutilet,
- statuta edimus et ordinationes facimus quae ordinatim subscripta serie describuntur…eodem auctoritate volumus perpetuis futurisque temporibus firmiter observari.”
Risalta da subito nel proemio l’invito a fare ogni tre anni un capitolo generale come era stato stabilito dal Concilio generale del Capitolo comune degli Abati. Questo obbligo di un capitolo ogni tre anni, con la possibilità di costringere con censura ecclesiastica e per autorità apostolica, era un richiamo e un rimando a quanto si diceva più espressamente nelle costituzioni del predecessore Onorio III.
1) Nel primo capitolo vengono anche delimitate le zone e i monasteri di una certo territorio che dovevano raggrupparsi e ritrovarsi al capitolo provenienti in genere dallo stesso territorio diocesano, con un elenco veramente lungo ed esteso per ogni provincia.
Questa delimitazione circoscrizionale, se per i primi anni della nascita e diffusione dei monasteri intorno a Monte Oliveto non costituì un problema, ad esso si fa riferimento già nei primi decenni in caso di elezione anticipata del nuovo abate generale limitando il numero dei sette monasteri viciniori per l’elezione del nuovo abate fino alla scadenza annuale normale.
Conosciamo nei primi decenni dalla fondazione la specificità della tradizione olivetana circa l’elezione dell’abate, e cioè la fedeltà alla durata annuale dell’incarico, certamente secondo la temporaneità delle magistrature senesi, e quindi ogni anno era doverosa la “cessio” o rinunzia nelle mani del capitolo conventuale o generale, a parte la stima, la fiducia verso il fondatore."

Solo dopo la morte di San Bernardo, con l’approvazione delle costituzioni del 1351 ci si adeguerà, alla durata triennale della carica abbaziale, soprattutto per accogliere le disposizioni risultanti dalla bolla di Clemente VI del 1350, con le quali si dava risposta alle “petitiones dilectorum filiorum Abbatis et conventus Monasteri beatae Mariae de Monte Oliveti in Acona…nobis nuper exibitae”.
2) Nel capitolo II si tratta dei Visitatori. Si fa sempre riferimento al Concilio generale e alle norme e statuti stabiliti con Onorio III.
Si rinnova la condanna e la punizione contro chi rivelasse qualche segreto conosciuto nelle visite.
3) Nel capitolo III si parla dei Capitoli generali e dei rendiconti da rendere “ad salutem et prosperitatem ...noscitur provenire”
E si stabilisce, nella Summi magistri, che venga celebrato ogni anno il Capitolo Generale ordinario.
Questo principio del Capitolo annuale nella Congregazione di Santa Maria di Monte Oliveto, come abbiamo appena visto sopra, era stato sempre osservato nei primi decenni, fino al 1351.
E’ proprio in questo terzo capitolo che troviamo un elemento molto importante circa il concetto di teologia di comunione, infatti pur parlando in un contesto strettamente giuridico si dice:
“ dieque statuendo in illis, in quibus nondum ad hoc dies huiusmodi constitutus,ut membra suo capiti consonent et caput respiciat sua membra.
Statuimus et etiam ordinamus, ut in singulis Ecclesiis, Cathedralibus et monasteriis antedicti, die statuto vel statuendo, singulis annis generale capitulum celebretur, in quo cum Praelatis eorum alii Abbates, Priores, Prelati et administratores immediate eisdem subiecti studeant convenire.
Circa il numero delle persone che possono partecipare al capitolo, si risponde che sia un numero congruo, ma che non porti disturbo o non susciti scandalo o turbi o presuma suscitare discordia o contenzione.
Anche a Monte Oliveto, il numero dei partecipanti al Capitolo generale annuale ha avuto lungo i primi decenni una variazione.
E cioè si è passati da un criterio prima più familiare e di reciproca
edificazione nella partecipazione al Capitolo, ad un criterio di pura rappresentatività dei priori e dei discreti. Certo è impressionante il numero dei partecipanti ai vari capitoli generali.
Abbiamo potuto ricostituire l’elenco completo dei monaci che parteciparono ai seguenti capitoli, sia generali che comunitari:
1) Capitolo a Monte Oliveto del 04 settembre 1336 N° 39
2) Capitolo a Monte Oliveto del 30 ottobre 1339 N° 26
3) Capitolo Generale del 04 maggio 1341 N° 93
4) Capitolo a Monte Oliveto del 17 luglio 1342 N° 25
5) Capitolo a Monte Oliveto del 10 febbraio 1345 N° 31
6) Capitolo Generale del 04 maggio 1346 N° 89
7) Capitolo Generale del 04 maggio 1353 N° 37
8) Capitolo Generale del 04 maggio 1354 N° 49
Possiamo quindi notare con meraviglia il numero consistente di 93 e 89 monaci partecipanti ai capitoli generali, mentre il numero dei monaci capitolari della comunità di Monte Oliveto nei diversi anni varia dai 39 del 1336 ai 25 del 1342, quindi si nota lungo gli anni una riduzione di monaci, per fondare nuovi monasteri, come da una arnia santa, nuove dimore.

sabato 14 novembre 2009

Antonio di Meo di Incontrato Tolomei

Antonio di Meo di Incontrato era figlio di un banchiere. Il padre Tolomeo, detto familiarmente Meo, aveva partecipato agli affari di famiglia durante gli anni che avevano visto la Società dei figli di Giacomo raggiungere l’apice delle sue fortune; aveva viaggiato per l’Europa, soggiornato a Parigi, conosciuto il clima eclettico delle fiere della Champagne. Ma il figlio Antonio preferì investire la sua parte dell’eredità paterna nella terra. Anch’egli noto esponente del ceto mercantile finanziario senese era presente sul mercato ascianese nel periodo tipico del commercio del croco, cioè nei mesi invernali.
E’ abbastanza interessante la parabola di Antonio di Meo Incontrato.
Se già da tempo Antonio aiutava e prestava soldi a congiunti, come a Tavena di Cristoforo e al figlio Francesco nel maggio del 1311: una somma di 2.500 lire che nel settembre del 1319 i due restituivano al creditore come corrispettivo del mutuo con diversi appezzamenti di terra, una casa e parte di un podere che essi possedevano a Castiglioni (D.A.G. 1319 settembre 23).
Il 23 ottobre 1318 comprò da messer Cione del popolo di San Giovanni per il prezzo di 480 lire un pezzo di terra con una casa posta nella curia di Chiusure, in luogo detto Caggiolo. (D.A.G. 1318 ottobre 23).
Nel febbraio 1319 Antonio continua le sue acquisizioni comprando da Ciampolo di Giacomo Scighera dei Gallerani terre, vigne, un canneto, case e capanne per un totale di 3.000 lire. Pochi giorni dopo acquista da alcuni Ugolini diritti di credito contro lo stesso Gallerani per 540 fiorini d’oro.
Antonio di Meo di Incontrato riesce a convincere il 22 ottobre 1319 anche Sozzino di Mino di Cristoforo a vendergli un appezzamento di terreno stimato 110 lire, posto a Chiusure e precisamente nel luogo chiamato Le Piazze, confinante con alcune sue terre. Nel giro di un anno Antonio investe quindi nell’area della Scialenga quasi 14.000 lire: segno indiscutibile della sua volontà di dotarsi di un patrimonio compatto nella zona delle crete.(D. A. G. 1319, 3 gennaio, 28 febbraio, 11 maggio).
Nel decennio successivo una ventina di carte documentano( Diplomatico di S. Agostino) il paziente processo di accumulazione fondiaria che Antonio persegue: Chiusure è la meta preferita dei suoi denari. Perché?
Fra il 1320 ed il 1330 numerosi proprietari vendono ad Antonio piccoli appezzamenti di terreno per un valore che oscilla da poche lire , fino al massimo di 400, per un totale che sfiora le 2.000 lire (11 giugno 1324).
Da un atto di vendita del 20 giugno Antonio di Meo non solo ha già una casa “cum platea” a san Pellegrino nel terzo di Città (86, Estimo 130, c.407) stimata 916 lire, 13 soldi e 4 denari, ma il 20 agosto 1320 possiede anche ad Asciano un “casamentum pro albergo tenedo”(Misericordia 6, cc. 29v-30) ed è socio proprietario di quota parte ad un molino, da cui proviene una grossa stima di 350 lire (62, E. 42, c. 318r).
Nel 1322 Antonio di Meo Incontrato risulta anche proprietario di una parte del castello di Rocca Tederici che viene venduto in favore del Comune di Siena (D.R 1322 giugno 20).
Continua ancora lo scambio di terreni intorno a Chiusure sia con le proprietà di Santa Maria della Scala per un valore di traslazione di 3.262 lire, sia con altri esponenti della famiglia Tolomei come Meo Tavena, Tato, Sozzino e Spinello; le acquisizioni in territorio intorno a Chiusure erano state realizzate vendendo nel marzo 1322 il podere di Quinciano vicino a Monteroni. La proprietà di Quinciano era di una estensione di circa 350 staiori di terra “laborativa e vineata”, fu venduta all’ospedale di S. Maria della Scala per una cifra di 5.366 lire che rappresentava il 26,6 % dei beni di Antonio ma fu appunto subito bilanciata e reinvestita comprando, come in parte abbiamo documentato, ben 66 appezzamenti di terra a Chiusure, 3 ad Asciano e altrove e con la bella cifra di 12.000 lire e così consolidava e completava le sue proprietà intorno a Chiusure, Montisi e San Giovanni d’Asso.
Se vogliamo volgere uno sguardo un po’ dettagliato sulle sue attività: abbiamo notizia della proprietà di un palatium in Asciano, dove il 6 ottobre 1326 nel chiostro del palazzo Tolomei, Puccio riceve a mezzadria da Antonio del fu Meo di Incontrato dei Tolomei di Siena la metà del podere detto da Sasseto, posto parte nella curia di Asciano e parte in quella delle Serre : ”..promitto… apud palatium vestrum positum propre Scianum praedictum..”, e aggiunge che se ci sarà dello strame che avanzerà per l’uso del podere, se sarà venduto, promette di dare al contadino la metà del prezzo fatta la vendita (N. 15, c. 91v).
Il 19 dicembre 1326, nel chiostro della casa Tolomei presso Asciano (N. 15, c.149v)
Mino del fu Maffeo da Rendine, con i figli Feio e Segna, riceve a mezzadria da Antonio del fu Meo di Incontrato dei Tolomei di Siena “…la metà di un podere posto parte nella curia di Asciano e parte in quella delle Serre”.
Vanni di Ciolo Orlandi di Montecalvoli riceve a mezzadria da Antonio del fu Meo di Incontrato dei Tolomei di Siena un podere “un tempo chiamato podere della Corte, posto parte nella curia di Montecalvoli, parte in quella di Castelnuovo, in loco dicto le Vigne de Asso”.
Il 3 maggio 1328, sempre nel palazzo Tolomei, Neruccio fu Tuccio da Asciano riceve a mezzadria da Antonio di Meo di Incontrato dei Tolomei di Siena per due anni..un podere sito nella curia di Asciano, luogo detto Acquaviva (N.16, c.28v).
L’investimento prosegue tra il 1330 e il 1340 con ripetuti acquisti di terreni e poderi disseminati ad Asciano, Chiusure e Serre di Rapolano per un valore complessivo di 500 lire e 25 fiorini d’oro e finalmente altre transazioni si distribuiscono negli anni 1343-1346, per poi cessare.
La sottolineatura che molti acquisti furono operati in anni in cui era Rettore dell’Ospedale della Scala Giovanni di Tese Tolomei (1314-1339) può avere la sua rilevanza, e anche il fatto della vendita di un terreno, a Melanino, dei monaci di Monte Oliveto all’Ospedale il mese di aprile del 1320, può configurarsi in una favorevole circostanza e occasione propizia.
Antonio è quindi uomo nobile e potente nelle sue terre: quando nel 1324, avendo già diverse proprietà, chiede al comune di Chiusure di vendergli una via pubblica che passa tra le sue proprietà, gli uomini della Comunità decidono a larga maggioranza (21 sì e 4 no) non solo di soddisfare la sua richiesta, ma anche di non chiedere nessun prezzo per la strada, che infatti sarà donata “pure et simpliciter” ed in modo che la donazione non possa essere revocata.
Nel 1333 tutto il villaggio di Chiusure sarà definitivamente acquistato da Meo e con i suoi tanti mezzi economici nel 1345, con generosità e magnanimità fa costruire in
Asciano il dormitorio del Convento di San Francesco.
L’importanza di Antonio così progressivamente cresciuta anche a Siena insieme a Fredi suo fratello con il quale possedeva una quota del “Palatium Tolomeorum” condiviso tra i 27 capifamiglia dei Tolomei, accrebbe la potenza della sua fama che gli permise di far parte del Collegio dei quattro Provveditori di Biccherna nel secondo semestre del 1344 e nel secondo semestre del 1352.
Ci fu una ragione convenuta e una forma di intesa per cui Antonio di Meo, cugino di Bernardo Tolomei si collocò con le proprietà acquisite dal 1318 in poi, come in un arco di avvicinamento e di protezione intorno alla fondazione di Monte Oliveto d’Acona? Certo non si può escludere. Quello che possiamo evidentemente constatare è che Antonio di Meo è l’unico membro del casato Tolomei che conserva e accresce di molto le sue proprietà, riuscendo a riequilibrare le vendite con gli acquisti in tutta la terra Scialenga e certo a conferire un senso di sicurezza e di garanzia ad una nuova fondazione religiosa, che doveva poi durare nei secoli fino ad oggi e dare lustro duraturo ai Tolomei di Siena.

Rainero Corsini proposto fiorentino e Vicario generale di Boso vescovo d'Arezzo, avendo osservato il privilegio concesso alli Frati e Monastero di Monte Oliveto dal q. Guido Vescovo di quella città pubblicato per mano di Ser Guadagno ad istanza di Fr. Pietro Donati e di Fr. Giacomo Mini, dichiara doversi questi Frati registrare nel libro della Lira dei chierici della Diocesi, come esenti a tenore di ciò, che espressamente si dice nel medesimo diploma.
15 ottobre 1339. Rogato Gregorio del q. Angelo.

Nella trascrizione del Lugano mette come data il
12 ottobre 1339 ( anzichè il 15) e la traduzione in italiano suona così:
"Il rev. signor Rainerio dei Corsini preposto fiorentino, vicario generale del rev. padre signor Boso vescovo di Arezzo, visto lo strumento pubblicato per mano di ser Guadagno n ot. di ser Giunta e transumpto per mano di ser Donato di Becco di Asciano e sottoscritto da ser Francesco Natii not. di Siena, nel quale appare l'esenzione fatta per mano del signor Guido, una volta vescovo di Arezzo del luogo e dei frati e del monastero di S. Maria di Monte Oliveto, con il consiglio del sapiente uomo signor Cini giusperito e pievano di Decomano, dichiarò i detti fratelli e il monatero di Monte Oliveto dovessero iscriversi nel libro della lira dei chierici della città e diocesi aretina e quindi fra quelli esenti.
Questa dichiarazione rilasciata nella chiesa de Morello della città di Arezzo, presenti il sopraddetto Cino, consulente per tutte le cose sopraddette, i notai ser Taviano del fu Benincasa di Montalto, Gregorio del signor Angelo giudice di Corbesi di Arezzo, giudice ordinario e notaio per autorità imperiale e ora pubblico ufficiale e scriba della curia episcopale."
Viviano da Siena Rettore della Pieve di S. Agata in Asciano e Vicario di Boso Vescovo d'Arezzo, richiede a Ser Pavolo Rettore della chiesa di S. Maria di Bettolle di poter vendere a Fr. Pietro sindico di Monte Oliveto un pezzo di terra in quella curia confinante con gli eredi di Bino Conte di Petroio con gli eredi di Tono Pecorari, con la via del comune, e colli beni del detto monastero; ed ancora un Casalino nel borgo di Bettolle vicino alla via del Comune ed a Monte Oliveto, e ciò per sodisfare Ser Fuccio di Lucignano che gl'aveva prestato cinquanta fiorini per sostenere le ragioni della di lui chiesa contro le pretenzioni di Ser Bartolomeo di Biagio da Cortona.
22 novembre 1346. Rogato Agostino del q. Finuccio d'Arezzo.

Ser Francesco del q. Pericciuolo d'Asciano, volendo ubbidire alla deliberazione dei Consoli della Mercanzia di Siena in loro presenza rinunzia a Fr. Cristoforo di Ser Vive da Siena procuratore di Monte Oliveto ogni ragione che potesse avere nella casa con orto e pozzo, posta in Asciano, lasciata al detto Monastero da Giovanni del q. Insegne e che termina con gli eredi di Nicolino di Bonaventura Patrizi, con quelli di Cecchino e Landino, con gli altri di Antonio di Meo(Tolomei) e con la strada pubblica, sebbene la detta casa con orto e pozzo si competesse a lui come erede di Deo suo fratello, perchè il detto Giovanni del q. Insegna, si era obbligato col q. Deo di pagargli Dugento lire per la dote di Francesca sua figlia, che era destinata sposa allo stesso q. Deo.
8 luglio 1350. Rogato Francesco di Ser Mino di Ture.

giovedì 5 novembre 2009

DAL PALAZZO AL CENOBIO

La storiografia recente su Siena e le sue famiglie più illustri nel XII e XIII secolo si arricchisce di contributi che precisano meglio nei contorni le figure che specialmente nella famiglia Tolomei hanno avuto qualche importanza, in particolare fra gli antenati del fondatore di Monte Oliveto Maggiore, il Beato Bernardo Tolomei.
La famiglia Tolomei discende da un Baldistricca Tolomei, di origine germanica e questo nome abbreviato in Stricca viene più volte ripetuto nella famiglia nei secoli successivi.
La tradizione più attendibile è quella che parla della venuta dei Tolomei nel contado senese al tempo di Ottone I°. Come i Salimbeni e i Piccolomini possiedono presto nel contado senese terre, feudi e castelli già al tempo di Gregorio II°.
Appartengono alla piccola feudalità del contado senese con proprietà intorno a Chiusure e già Tolomeo secondo gli storici senesi fu uno dei tre ambasciatori inviati da Siena al Pontefice Alessandro III per rallegrarsi della pace vittoriosa conclusa a Venezia con il Barbarossa (1176).
I Tolomei dal contado entrano in città e già il 1 marzo 1121 Bonone figlio di Sennuccio di Baldistricca acquista un appezzamento di terreno con vigna a Maggiano o Montemaggiano, dove più tardi sorgerà la bella certosa voluta dal cardinal Petroni Riccardo essendo il terreno confinante con i beni dei Maconi.
Jacopo di Tolomeo, nel 1221 presenzia all’atto di accomandigia a Siena dei potenti conti Aldobrandeschi e nel 1226, quale camarlingo della Biccherna partecipa alla donazione fatta al comune del Poggio di Calcinaia dove avrebbe dovuto sorgere un Castello (Il Caleffo 326-327).
Alla fine del secolo XII i Tolomei si sono singolarmente arricchiti con vasti traffici tra mercanti senesi e romani. Un fatto importante è la creazione della Ia Societs Thalomeorum che risale al 1223 quando alcuni mercanti si riconoscono debitori di Bartolomeo de Platea e soci.
La grande fortuna dei Tolomei pare si sia formata negli anni 1225-1226 con le miniere d’argento di Montieri ottenute in restituzione dei prestiti precedentemente fatti ai Vescovi di Volterra e Massa Marittima insieme alla villa di Certaldo e la corte di Montalcino, i cui terreni vanno ad aumentare il già vasto patrimonio immobiliare dei Tolomei.
Nel 1228 Pelacane di Tolomeo è Camarlingo del Comune e nel 1229 ha l’incarico “ di porre la nuova lira “, di vigilare “super utilitatem communis” e di rivedere i castelli del contado; è presente con il consorte Albizo de Platea in San Cristoforo quale appartenente al Consiglio Generale alla promessa solenne fatta dai Senesi di mantenere la pace con gli Aldobrandeschi e lo troviamo nel 1236 con l’importante incarico di “riveditore” dello statuto, mentre nel 1249-50 fa parte dei XXIV.
Lotterengo Tolomei che nel 1226 era stato ambasciatore a Perugia si trova tra i VI sulle fortificazioni e sui castelli nel 1230 e nello stesso anno è ambasciatore ad Arezzo per mantenere la pace con Siena e per impedire che gli Aretini si alleino con Firenze. Presenzia poi alle promesse fatte da Siena al Cardinal Prenestino per le trattative della pace in Toscana; è ambasciatore a Colle d’Elsa per le questioni relative al territorio di Casole e a Buonconvento per le trattative con il Vicario Imperiale.
Tavena di Tolomeo nel 1240 fa sicuramente parte della Commissione che operò le riforme da cui ebbe origine il governo dei XXIV e nel 1248 è uno dei soprastanti all’arruolamento dei militi e dei balestrieri da inviare in Maremma al servizio di Federico di Antiochia.
Jacopo di Tolomeo detto “de Platea” è il fondatore del banco Tolomei in Francia e i suoi figli danno il massimo sviluppo alla compagnia e riescono a concludere vantaggiosi affari rivolgendo l’attività commerciale della compagnia soprattutto all’estero.
Andrea Tolomei nel 1260 e negli anni successivi ci da larga notizia sulla sua partecipazione alle fiere di Champagne, sui grandi depositi di drapperie in Francia, ci informa dell’attività bancaria della “societas” di cui viene presentato un vero e proprio conto di dare e avere il 14 settembre 1262.
Da una lettera del 1265 possiamo conoscere il prezzo corrente delle mercanzie e i valori delle varie monete dallo “sterlingo” alla “moneta meflata”. Anche in Inghilterra esisteva un rappresentante della compagnia per ragioni di commercio, come pure in Fiandra, Olanda, Alemagna dove si svolsero operazioni di mutuo e di commercio.
Già nel 1260 la “societas” dei Tolomei svolgeva una grande attività nel campo dell’impresa dei bastioni e fossi che si dovevano costruire intorno alle mura “Thalomeorum populi S. Christofori apud locum fratrum minorum Sancti Petri de Ovile”.
Un’altra attività dei Tolomei fu quella di “campsores Domini Papae” il che dava origine a numerosi contratti di prestito e di cambio che i Tolomei stipularono con privati relativamente alle assunzioni in appalto dei tributi e delle decime pontificie. L’attività di campsores sarà poi interrotta dalla concorrenza fiorentina e più tardi ancora, agli inizi del sec. XIV dal trasferimento della sede pontificia da Roma ad Avignone, fatto questo che fece cessare la necessità del trasporto del denaro nella capitale del mondo cristiano.

I TOLOMEI E LA POLITICA A SIENA

I Tolomei già sinceramente ghibellini sono senesi e seguono la politica del comune. Prendono le armi con gli altri senesi nella guerra del 1260 per combattere contro i Guelfi a Monteaperti e Pelicane Tolomei è testimone al trattato con cui Siena vittoriosa acquista da Firenze i diritti su Montepulciano, Montalcino, Poggibonsi e le altre terre della Val di Chiana, della Maremma, che erano state in lega con i fiorentini ai danni di Siena.
Dopo Monteaperti, nel corso degli anni sessanta i guelfi senesi si rafforzarono, i Tolomei e le altre grandi famiglie come i Malavolti e i Salimbeni si convertirono al guelfismo soprattutto per mantenere le proprie posizioni nella finanza e nel commercio internazionali.
I Tolomei preferirono abbandonare la città e ritirarsi nella rocca di Radicofani per cui tra le famiglie ricche e potenti si creò una secessione che pregiudicò l’economia senese.
I Tolomei furono prima richiamati e poi costretti nuovamente a fuggire per i tumulti popolari, raggiunsero i fuoriusciti guelfi che furono però sconfitti nel 1263 alla badia a Spineta in un combattimento in cui trovò la morte Guccio Tolomei e dove Pietro Tolomei cadde prigioniero dei Ghibellini.
La morte del figlio illegittimo del defunto imperatore Federico I, Manfredi, nella battaglia di Benevento del 1266 accelererà il passaggio al guelfismo.
I ghibellini toscani, compresi quelli di Siena subirono una sconfitta decisiva nella battaglia di Colle Val d’Elsa dell’11 giugno 1269, con la morte di Provenzan Salvani e la fine del ghibellinismo.
Sappiamo che tra la nobiltà guelfa e un gruppo di famiglie dell’alta borghesia mercantile bancaria ed imprenditoriale non c’erano soltanto affiliazioni politiche comuni e rapporti di parentela e di affari incrociati.
I patti tra il Comune di Siena e i suoi esiliati guelfi nell’agosto 1270 presagivano già la consegna del Comune e del popolo alla parte guelfa e questi mutamenti si realizzarono con il ritorno degli esiliati a cui fu messo a capo proprio Mino di Cristoforo Tolomei che sarà tra poco il babbo di Giovanni Tolomei, e come conseguenza del compromesso troviamo che Cristoforo di Tolomeo nel 2° semestre del 1270 assunse una delle cariche maggiori del Comune e cioè il mandato di Provveditore della Biccherna,ed è in questo periodo che si riedificherà il Palazzo Tolomei con le pietre provenienti dall’abbattimento delle case dei Salvani, mentre Mino di Cristoforo sarà camarlingo della Biccherna nel 1° semestre del 1284.
Nel 1271 si ebbe quindi il mutamento nella guida di Siena con il pieno regime guelfo attraverso la coalizione di nobili della parte guelfa e un gruppo di famiglie dell’alta borghesia mercantile, bancaria e imprenditoriale.
La potenza commerciale sempre crescente dei Tolomei si aggiunge anche alla partecipazione della famiglia alla vita cittadina, come risulta dalla Gran Tavola di Orlando Bonsignori nella quale appare chiaramente che i Tolomei sono tra le maggioori società del duecento tra il 1270 e il 1290.
Già nel Palatium de Platea si riuniscono i consigli generali e quelli segreti del Comune; nello stesso palazzo, detto nel documento del Caleffo “filiorum Thalomei et Jacobi de Platea” ,avviene la sottomissione dei Conti Elci. Il Consiglio cittadino fino al 1274 vi si radunava come abbiamo visto anticipando denari per fronteggiare spese straordinarie come guerre, restauro di fortificazioni,fabbriche di edifizi.
Così il Comune ha nel 1273 un grosso debito con la Compagnia Tolomei per gli stipendi anticipati alle milizie di Carlo IV (ASS.Mss. 85 c. 205 r).
Nel 1277 avviene una provvisoria esclusione dal governo senese dei grandi e tra questi i Tolomei “casamentum de Tholomeis”, anche se la loro attività commerciale continua. Questa esclusione ci porta a ricordare che esistono ben tre elenchi di casati esclusi per legge dalla vita pubblica in diversi periodi:
un 1° elenco del 1277
un 2° elenco del 20 settembre 1313 per fallimenti
un 3° elenco si trova nel costituto del 1337-39.
Questi elenchi contenevano non solo i Tolomei ma anche i Malavolti,i Piccolomini,Salimbeni,Saracini, Forteguerri, Ugurgieri, Pagliaresi e Bonsignori.
Il 31 ottobre 1280 tra Guelfi e Ghibellini (Tolomei e Salimbeni) fu giurata la pace, erano presenti per i Tolomei cinquantasei capi famiglia tra i quali troviamo nominati D. Mino di Cristoforo (pro se et filiis suis) e D.Andrea di Cristoforo , zio di Giovanni Tolomei.
Il 6 ottobre 1291 viene costituita la Società dei figli di Giacomo di Piazza che sono: Cristoforo e Ildebrandino, in seguito rinnovata nelle persone di
“Mino e Andrea “ del q. Cristoforo di Giacomo Tolomei e Meo del q. Ildebrandino Tolomei che con altri compongono la società dei figli di Giacomo della Piazza . Se la costituzione di tale società poteva indicare una potenza e un desiderio di autonomia, in verità l’attività bancaria dei Tolomei comincia a diventare precaria.
Già nel 1300 Bindo, fratello di Meo, figli di Ildebrandino della società Tolomei lo sappiamo a Marsiglia e lo vediamo prendere in prestito da un banchiere locale la somma da restituirsi poi a Montpellier.
E’ Bindo che nel 1306 diventa procuratore della nuova società dei “figli di Ser Jacomo” o de “Jacomi”, ed è dedito ad operazioni bancarie come socio e sovrintendente a tutti gli affari della società e nel 1307 è attivo nella città di Nimes.
Il 1 maggio 1309 Andrea Tolomei, zio di Giovanni Tolomei, rientrato dalla Francia entra a far parte del Consiglio del popolo.
Nel 1310 si ha la costituzione di una nuova “Societas dei Tolomei” che non è che una trasformazione di quella precedente in una società in nome collettivo e il 30 giugno 1310 durante una riunione della consorteria nobiliare si trovano presenti 57 capi Tolomei tutti laici, fra questi troviamo nominati Nello e Meo cavalieri del fu Mino, e quindi da qui sappiamo che da poco Mino Tolomei era deceduto.
L’interesse di uno sguardo al contesto storico, finanziario e politico della famiglia Tolomei dal 1297 al 1337 ci permette di mettere in rilievo l’importanza dei familiari di Giovanni Tolomei.
Appunto il 22 giugno 1297 durante i lavori per l’ingrandimento del Palazzo comunale, che però veniva già utilizzato per le Assemblee, l’imperioso Papa Bonifacio VIII aveva richiesto l’aiuto militare anche a Siena; il Consiglio dopo aver discusso un po' fu d’accordo con Messer Mino di Cristoforo Tolomei chè il comune venisse in soccorso del Papa (cfr. Consiglio Generale, 13, cc.111,112 v).
L’importanza della posizione politica guelfa di Mino nel Comune è sottolineata anche dal fatto che, come leggiamo nel Califfo Vecchio, al primo acquisto da parte del Comune di alcune case che costituiranno poi la base del Palazzo Pubblico era presente come teste e rappresentante proprio Mino di Cristoforo Tolomei.
Il tentativo di rafforzare la lega guelfa tra Siena e San Gimignano fu significativamente espressa con l’invito onorevole a Mino Tolomei che fu chiamato a San Gimignano come podestà nel 1° semestre 1299, quando l’8 maggio 1299 accolse nientedimeno che Dante Alighieri come ambasciatore di Firenze.
La carriera politica intrapresa tra i Tolomei con Mino, sarà anche in seguito proseguita soprattutto dal figlio Nello, che negli anni 1317-1318 assurgerà alla doppia carica di Capitano del popolo e di Podestà ancora a San Gimignano, dove in ricordo perenne della suo mandato farà eseguire nel Palazzo comunale la splendida Maestà di Lippo Memmi.

FALLIMENTO DELLA COMPAGNIA DEI TOLOMEI

Ma le cose per la Società dei Tolomei in quanto tale non andavano molto bene. Mino Tolomei muore nel 1310. Nel 1311 già alla fiera di S. Giovanni di Troyes esisteva per la Società un passivo di 11.000 lire; le cose incominciavano ad andare male e il 26 aprile 1312 il Consiglio Generale del Comune si occupa del minacciato fallimento della Compagnia Tolomei; su proposta di Enea Piccolomini fu deliberato che non si facesse alcuna novità e alcuna cattura contro detta compagnia fino al 1 settembre dello stesso anno.(ASS.Cons.Gen. c.119,125).
I problemi del fallimento della Compagnia dei Tolomei furono affrontati dal Consiglio Generale in diverse e numerose sessioni e abbiamo almeno 10 interventi dello stesso dal 26 aprile 1312 al 28 dicembre 1333.
Come già nel 1298 era avvenuto il fallimento della Gran Tavola dei Bonsignori, così i membri del clan dei Tolomei presenti in Toscana il 13 giugno 1313 si incontrarono per eleggere dei procuratori che li rappresentassero in un processo legale; si dichiarò che i cinquantanove uomini elencati rappresentavano i due terzi dei maschi laici e adulti del Casato, dal che si deduce che il clan contasse un totale di circa novanta uomini. Ma la dichiarazione di fallimento della Compagnia avvenne ugualmente e fu proclamata il 20 dicembre 1313 .
Questo fallimento come quelli di altre Famiglie provocarono certamente la preclusione da tutte le cariche comunali e dalla partecipazione al Consiglio cittadino dei membri di Compagnie fallite o che fossero fuggiti con beni altrui.

DISCORDIE E LOTTE FRA CASATI A SIENA


Da alcuni anni la vita a Siena, oltre che da fallimenti era turbata da discordie fra casati, discordie che misero spesso in forse gli ordinamenti politici della città, discordie che sorsero specialmente tra i Tolomei e i Salimbeni.
Furono così atroci queste lotte che giunsero a minacciare già nel 1305 l’esistenza stessa del Comune, che fu obbligato a mobilitare mille uomini per terzo(di città) sotto il comando dei tre Gonfalieri delle Compagnie formate da quelle milizie istituite il 28 maggio 1300, appunto per fare cessare le lotte tra i ‘grandi di Casata’.
Già il 3 aprile 1305 per intervento del Vescovo Rinaldo Malavolti si era giunti ad una pacificazione tra i Tolomei e i soli Malavolti, e questa pace fra le due famiglie potè durare sino al 1365.
Nel 1313 e 1314 il Comune impose una tregua a tutti i cittadini che avevano odii o inimicizie mortali, perchè ,si asserì, il comune era minacciato da un’invasione straniera. Ma le discordie non si erano calmate.
Il 4 maggio 1315 il Consiglio Generale concedeva al Podestà l’autorità e la balìa di punire sia i Tolomei che i Salimbeni se nel termine di tre giorni non avessero concluso la pace ponendo fine a tutte le discordie e le liti, pace che durò solamente un anno. (ASS.Cons.Gen. cc114 v-118).
Nel 1316 troviamo nuovamente le due famiglie in guerra tra loro e tutta la città stava “in sospetto e armata” e per l’intervento del governo fiorentino si riuscì a fare stipulare una nuova pacificazione solennemente giurata alla presenza dei Signori Nove e del Podestà Bartolo da Sassoferrato.
Da ultimo nel 1318 i Tolomei con a capo Deo di Guccio, Guelfo e Sozzo con i Forteguerri fomentarono una rivolta che fu domata con difficoltà e i partecipanti furono banditi e i casamenti dei Tolomei in Calzoleria e nel contado “arsi e guasti”.


GIOVANNI TOLOMEI UOMO DI DIRITTO

La tradizione che Giovanni Tolomei fosse un uomo di diritto prima di lasciare il Palazzo per il cenobio ci conduce a ripercorrere i luoghi e gli anni della sua preparazione culturale e quindi a conoscere la realtà dell’Università o “Studium” a Siena negli anni 1290-1310, ventennio fondamentale per la storia dell’università senese. Ma di quale università possiamo parlare?
Ripercorrendo la rassegna bibliografica sulla storia dello studio senese dalle origini alla prima metà del cinquecento, Ludovico Zdekauer nella sua opera ‘Lo Studio di Siena’ annotava “fa meraviglia che gli storici della nostra Università abbiano trascurato del tutto una fonte autentica come questa, cioè l’Archivio Arcivescovile’.
E’ chiaro che Giovanni Tolomei studiando ed operando nell’ambito dello Studium dal 1290 al 1310 non abbia frequentato lo Studium senese fregiato con diploma imperiale di Carlo IV perchè questo avvenne solo il 16 agosto 1357, ma aveva frequentato lo Studium che già precedentemente esisteva e con splendore grandissimo.
La lapalissiana costatazione ci porta a ripercorre a grandi passi la storia dello Studium Generale.
Già sotto il nobile e fiero Ildebrandino di Guido Cacciaconti e durante la sua podesteria il giorno 26 dicembre 1240 il Comune provvedeva al pagamento degli stipendi ai Magistrati con le imposte applicate direttamente a quanti affittassero ‘hospitia’ agli scolari. La fondazione della scuola giuridica si colloca al 1246 a seguito dell’ingiunzione rivolta al Comune di Siena dal capitano generale della Tuscia, Federico d’Antiochia di richiamare in città gli scolari che studiavano a Bologna.
Il Papa Innocenzo IV, dopo la morte di Federico II(1250) che aveva privato d’importanza e quasi disgregato l’ambiente culturale, il 29 novembre 1252 fece un intervento per il progresso dell’insegnamento e della cultura universitaria con la concessione dell’immunità personali e reali verso la città di Siena a vantaggio dei “professorum literarum” e dei ‘doctores legum.’
Ma il privilegio concesso non valse a ridare vigore allo studio senese, anche perché non comportò il conferimento ad esso della qualifica e delle prerogative di Studio generale.
Questo ci porta a ricordare che era il Vescovo che conferiva il dottorato agli studenti ed ancora nel 1357 anche dopo il diploma imperiale resta sempre il Vescovo preposto a quell’incarico e ciò ha una grande importanza perché è nell’Archivio Arcivescovile che potremmo trovare quanto il Cancelliere vescovile aveva rogato dando i diplomi di magistero.
Solo ulteriori e pazienti ricerche nell’Archivio Arcivescovile potrebbero dare, a parte la distruzione per avvenuti incendi, qualche preziosa sorpresa anche per il periodo che riguarda Giovanni Tolomei come discente e lector.
Il Lusini con le sue prime ricerche specifiche condotte nell’Archivio Arcivescovile senese ritrova i registri dei laureati dello studio senese “che sono una parte di quelli che avrebbero dovuto esserci e che comprendono le abbreviature di laurea degli scolari del nostro studio, con la indicazione dei maestri esaminatori”, perché purtroppo partono solo dall’anno 1463.
L’interesse rinnovato manifestato dalla classe dirigente senese per la struttura e il funzionamento dello Studio cittadino non conobbe un nuovo sviluppo, anzi tra il 1269 e il 1273 risentì gravemente della crisi politico-istituzionale originata dal declino del partito filoimperiale (dei Ghibellini) e dalla conquista del potere ad opera dei Guelfi.
E’ vero che analizzando le deliberazioni prese dal Consiglio della Campana troviamo che nel luglio 1275 furono date concessioni e privilegi allo Studium e questo ci fa pensare che mai un magistrato cittadino od un Consiglio si credette forte abbastanza per concedere qualcosa a dispetto dell’autorità papale o imperiale.
Se è vero che furono presenti in Siena dei giuristi di primordine tra gli anni ottanta e la fine del Duecento, questi non svolsero una precisa attività didattica , ma semplicemente esplicarono incarichi ufficiali per conto del Comune cittadino. Conosciamo alcuni nomi che furono :
Benincasa da Laterina ambasciatore e vicario podestarile tra il 1282 e il 1285; Alberto Gandino e Bonifacio Antelmi, entrambi giudici collaterali dei podestà succedutisi nel 1299: così pure Buona Guida di Gregorio Boccacci che utilizzava la chiesa di S. Vigilio per la cattedra di leggi e decretali.
Se un maestro di grammatica con buona scuola fu Bandino di Raniero d’Arezzo che si era probabilmente laureato a Bologna ed il suo insegnamento senese si era protratto per molti anni fino al 1292, a livello superiore, la crisi delle scuole di diritto e medicina si protrasse sino ai primi del Trecento, dal momento che fu essenzialmente pratico ed non ebbe un eccezionale elevazione , e anche il raggio d’attrazione restò decisamente limitato.
Anche nelle norme statutarie in materia di insegnamento superiore negli anni 1292-1296 fu riservato un trattamento di privilegio ai giurisperiti senesi, ai quali fu consentito di accedere all’insegnamento pur non essendo doctores, mentre il requisito di essere ‘conventatus in legibus vel decretis’ fu richiesto ai docenti forestieri.
Un impulso deciso nella direzione di un sensibile miglioramento qualitativo del corpo docente ebbe a realizzarsi agli inizi del Trecento. Gli eventi del 1306 a Bologna, culminati nella scomunica lanciata contro la città dal cardinale Napoleone Orsini, comportarono anche la soppressione dello Studio, decretata dallo stesso cardinale e quindi la partenza per altre sedi di molti validi docenti.
Alcuni nomi di docenti che possono interessare il nostro periodo prima che Giovanni Tolomei partisse per Acona furono: nel 1305, Boncio, docente di decretali; Guglielmo da Perugia (1306-1307) ed in seguito Meo di Nuto nel 1318, come lettori di diritto civile.
E’ certo di non poco interesse quanto ci dice G. Prunai nell’articolo “Lo Studio senese dalle origini alla “migratio” bolognese “(sec.XII-1321) in BSSP. LVI (1949) pp. 53-79. Ma il periodo della migratio di docenti e studenti dello studio bolognese del 1321 a Siena è già un momento in cui Giovanni Tolomei da anni si trovava nel deserto di Acona, e quindi pur essendo molto importante esula dalla nostra osservazione.
Anche la trascrizione dei documenti reperiti soprattutto nell’archivio di Stato di Siena nei quali troviamo nota di pagamenti a lettori dello Studio senese ed un elenco di 550 medici senesi dal 774 al 1555 è tutto materiale che si rivela utilissimo per confrontare questi nomi con quelli che si trovano nei verbali di laurea dell’Archivio Arcivescovile.
Se l’insegnamento nello Studio senese, come abbiamo accennato sopra, non fu di livello così elevato, possiamo però ricordare quanto successe nel corso dell’estate del 1318, in seguito alla campagna massetana, quando i giudici e i notai, probabilmente per protesta contro la recente regolamentazione governativa delle loro tariffe fecero nuove pressioni sul governo e risposero rapidamente con uno sciopero generale ed alcuni di essi minacciarono apertamente certi membri del governo. L’oligarchia al potere fu costretta a trattare con maggior attenzione e minore fretta i giudici e i notai, socialmente prestigiosi e spesso più ricchi degli oligarchi stessi.
Ma il 21 novembre 1318 si arrivò a provvedimenti nei quali si comminarono pene severe ai ribelli . I principali congiurati del clan dei Tolomei furono toccati, anche se ebbero salva la vita, ma le loro proprietà urbane furono rase al suolo.
Il regime dopo aver riacquistato il controllo completo della situazione nel maggio del 1319 pose fuorilegge la potente corporazione dei giudici e dei notai, ma la mancanza conseguente di un controllo corporativo della competenza dei notai provocò seri problemi per quasi tutta la comunità senese, data la necessità diffusa di far redigere tutti i documenti pubblici e privati dai notai in modo corretto e secondo le intenzioni dei richiedenti.Questa situazione si protrasse a lungo e si notò che molti giovani e inesperti nell’arte notarile diventarono notai, ma l’ultimo esame corporativo si era tenuto nel settembre del 1317; e malgrado la necessità di giudici e notai soltanto il 17 agosto 1341 il consiglio cittadino con 247 voti contro 39 accettò la petizione ai Nove per il ripristino della corporazione dei notai.